Una Biennale di Venezia fatta alla buona più che buonista

10.06.2024

' questa la critica che da più parti viene sollevata alla storica mostra veneziana

di Davide Tedeschini


E' dal 18 aprile scorso che la mostra propone di esplorare i complessi temi della migrazione, dell'identità e dell'alterità attraverso le opere di artisti provenienti da ogni angolo del pianeta. Tuttavia, ben presto l'ambiziosa idea iniziale 'Stranieri Ovunque' si è scontrata con la realtà, lasciando molti visitatori e critici delusi. Diverse voci autorevoli si sono infatti levate per contestare le scelte curatoriali, accusandole di mancanza di profondità, di un approccio paternalistico verso gli artisti non occidentali e di una preoccupante superficialità nel trattare questioni di tale importanza. Uno dei punti di critica più ricorrenti riguarda l'estetica generale della mostra, definita da alcuni come "infantile" e "regressiva": vi é "l'impressione che ci si trovi di fronte a una sorta di zoo umano dell'arte, dove artisti provenienti da paesi in via di sviluppo vengono esposti come se fossero la testimonianza vivente di una cultura primitiva". Questa scelta (come evidenziano testate statunitensi come Il Guardian, ma con altre parole anche sulla stampa italiana più autorevole), rischia di rafforzare pericolosi stereotipi e di negare la complessità e la ricchezza della produzione artistica di queste aree, relegandola a un immaginario esotico e paternalistico. Altro aspetto problematico della Biennale è la sua sconcertante mancanza di connessione con le urgenze del mondo contemporaneo. Nonostante il titolo che evoca temi di scottante attualità come la migrazione e la globalizzazione, la mostra sembra vivere in una bolla ovattata, ignorando le sfide e le minacce del presente, come i conflitti geopolitici, le disuguaglianze sociali e le drammatiche migrazioni forzate fino a "chiudersi in un'oasi di buonismo multiculturale, senza confrontarsi con la complessità e la contraddittorietà del mondo in cui viviamo". Un'occasione persa per un'istituzione che, come la Biennale di Venezia, ha la capacità e il dovere di influenzare il dibattito artistico a livello globale. Se si confrontano le scelte curatoriali di quest'anno con quelle delle passate edizioni, la delusione aumenta: "sembra che si sia tornati indietro di decenni, perdendo lo slancio innovativo e la capacità di osare che avevano caratterizzato le ultime edizioni" si legge su fogli specialistici che incrocio sulla rete L'assenza di grandi nomi dell'arte contemporanea, la scarsa presenza di artisti italiani e un allestimento bonario (che qui si intende 'alla buona') in alcune sezioni, hanno ulteriormente contribuito al clima di disappunto generale. La Biennale di Venezia 2024 si chiude così, lasciando un'impressione di occasione mancata e di potenziale inespresso. La speranza è che le future edizioni sappiano cogliere la sfida di confrontarsi con il presente in modo più incisivo e critico, evitando di cadere in stereotipi e di rifugiarsi in un facile esotismo, così come appare essere avvenuto al padiglione centrale e quello degli Stati Uniti. Solo così la Biennale potrà tornare ad essere un punto di riferimento fondamentale per l'arte contemporanea (e anche della moderna), capace di generare riflessioni profonde e veramente culturali.