La Benassi espone motozappe al Macro*
Tanto é cambiata l'arte da quando Duchamp per primo ideò il famoso 'orinatoio', esposto alla vicina Galleria Nazionale. La mostra antologica dell'artista romana si concluderà il 25 agosto
Carlo Verdone si scandalizza del casino che c'é in giro, salvo poi telefonare al sindaco Gualtieri per scusarsi. Altri litigano con i 'pickpockets' nella metro della Capitale come sui traghetti a Venezia. Ad altri piace andare per musei dove il disordine non dá fastidio.
Nelle ultime grandi mostre del mainstream, costituite da alcuni rivoltanti ecomostri d'acciaio o d'altro materiale che verrá poi buttato, -per ricomparire altrove, come una fittizia scenografia- in realtá facendo la fine proprio opposta a come si presentava nei chiostri di palazzi rinascimentali e nelle chiese che un tempo ospitavano delicate reliquie gotiche; questi enormi oggetti spesso zincati e indistruttibili come Jeeg Robot d'acciaio, gli insopportabili conigli a palloni viola di Jeff Koons, proposti anche a poche centinaia d'euro in versione fake su internet e in galleria, oppure strutture a forma di tromba di Anish Kapoor, la cui plastica imita il marmo o il lattice, in una maniera così sorda da ricordare le campane di certi depositi sacri, così come i 'pupazzi' di Manolo Valdes o Botero in via del Corso; queste opere che per alcuni sono ai limiti della sopportazione e che ci hanno tormentato nelle location più esclusive d'Italia e Londra, così come le mummie di plastica di Hirst; la triste solitudine di leoni di bronzo sulle scalinate della Galleria Nazionale (ormai loro fissa dimora) disorientati anch'essi dal caos dell'allestimento interno, mentre trafelati turisti giapponesi entrano; ora l'impressione é che si crei una sorta di realtá altra, in cui la disambiguazione si rende più che mai necessaria ma senza sortire alcun effetto sulle strane idiosincrasie dell'arte contemporanea.
Così succede che proprio al giro di boa di questa torrida estate capiamo che Verdone non fa altro che lamentarsi di sé, così come direbbe Winnicott: "il bambino si specchia nel volto della madre e vede se stesso".
Vale anche per gli oggetti su cui il filosofo francese Baudrillard pone attenzione e sui quali proiettiamo il nostro ego, o altro da sé, ormai protagonisti dei musei d'arte contemporanea: quelli in una mostra al Macro, una stramba mostra dove il disordine è ordine. Se dall'orinatoio di Duchamp apparso per la prima volta come opera dal titolo 'Fontana' nel 1917, si é arrivati alla motozappa di Elisabetta Benassi, artista romana classe '66, ( 'Autoritratto al lavoro', 2016), c'è qualcosa che è cambiato, si è evoluto e dà senso a questi musei della Capitale: una sorta di continuità dalla Galleria Nazionale al Macro, distanti tra loro c.a 20 minuti a piedi, passando per Villa Borghese, una sorta di Museumplein di Roma.
Al Macro ben due motozappe; marca, neanche a farlo apposta 'Benassi', identificazione dell'autrice, così come la fontana esposta alla Galleria Nazionale firmata R.Mutt ,1917 pseudonimo di Duchamp (Rich Mutt ossia 'ricco bastardo') .
Poi vediamo una giacca da motociclista rossa, con strani segni da combattente sopra; alcuni tappeti che letteralmente si infilano in un muro di mattoni a faccia vista -come piacevano a De Chirico e Magritte- e così via mentre altri per terra (confusi per tappeti da curatori e giornalisti), non sono che biglietti divenuti giganti in un blow up che altera le dimensioni spazio-tempo della visita: così come quando si parla al telefono, un piccolo biglietto con su scritta una frase occupa tutto lo spazio del nostro sguardo, divenendo un 'mondo' che esclude tutto ciò che è latente: così come al buio è la sala dell'esposizione, dove oggetti emergono come contenuti rimossi.
Uno di questi sembrerebbe un telegramma firmato da Dziga Vertov, uno dei capostipiti del cinema russo, -la Benassi è spesso associata all'arte multimediale e video- un altro sembra un tappeto di mattoni tutt'altro che comodo, direi, che struttura qualcosa d'altro.
Rinuncio ad approfondire, mi accontento della sensazione che ho, così come si fa con l'Arte. Ho capito che queste immagini provengono da un altro mondo legato alla biografia dell'artista e non solo. Mi sovviene un'opera della Benassi ad una mostra di venti anni fa, alla ambasciata francese, a cui partecipavano Boltanski, Cucchi, Kounellis e altri, dove lei letteralmente parcheggió -se non ricordo male- una vecchia automobile nei sotterranei, anche allora al buio. Immaginai di di mettere in moto quell'automobile e uscire da uno dei tanti parcheggi di Roma, schiacciando un tappeto di lampadine rotte (altra opera di Boltanski o di un suo emulo francese) che appunto crepitavano come a infrangersi, ad intermittenza, creando uno strano effetto onirico di dormiveglia; così come provocano il sonno le onde che si infrangono schiumando di notte sul bagnasciuga. Sensazioni completamente diverse dagli sgabelli di Ai WeiWei sovrapposti a centinaia, oppure dell'inclemente quantità di barattoli di Warhol, eppure sempre di arte contemporanea si tratta. Questa della Benassi, è costituita da un insieme organico di immagini che danno sensazioni, così come se a dialogare fossero dei quadri figurativi surrealisti -inutile dipingere se si ha l'oggetto tra le mani- così sovviene il grande Beuys, lo 'sciamano', di cui molti ritengono conclusa l'esperienza.
Beh avete tempo fino al 25 agosto per vedere la mostra di Elisabetta Benassi, romana, classe 1966. Quella a cui il disordine di Roma non fa paura.
*pubblicato l'11 agosto 2024 su www.ilgiornaleditalia.it con il titolo: "Macro di Roma, la Benassi espone la motozappa, una continuazione dell'"orinatoio" di Duchamp alla Galleria Nazionale"